sabato 15 novembre 2014

Barthelby parte I

Quella sera Barthelby andò a dormire con la sensazione di essere infelice, una sensazione che potrebbe sembrare comune e che lui stesso aveva provato in più occasioni, soprattutto dopo una sbronza di eccesso, tuttavia, quella sera era diverso, lui era diverso, come l’infelice che, guardandosi allo specchio, incrocia uno sguardo che non è il suo. L’idea di continuare a vivere come aveva sempre fatto gli dava il voltastomaco più dell’alcol, la sua vita era ridicolmente ordinaria, insopportabilmente inscatolata come un vagone tra i binari, sempre nella stessa direzione alla stessa velocità, più di tutte, le serate a bere insieme agli amici, desiderosi di scacciare la routine gli pareva evocassero lo spettro dell’ordinarietà con ancor più violenza delle giornate in cui era oberato di lavoro; le teste di Patty e Selma, le insopportabili sorelle zitelle di Marge Simpson, penzolanti trascinavano la sua testa verso il basso inarcando la sua schiena il cui dolore lo invecchiava e lo abbruttiva tragicamente. Quello è il genere di dolore che ci si porta dietro per tutta la vita, ti corrompe lentamente, ingrigisce i capelli e invecchia la pelle precocemente, perdi la naturale attitudine alla curiosità, finché quel dolore non diventa un irrinunciabile piacere, l’unico reale, la condizione essenziale per essere davvero vivi. Cazzate; in quelle giornate Barthelby si chiudeva in casa e rifiutava ogni contatto col mondo, oppure chiamava a se tutte le forze sulle sue gambe irrancidite dal poco moto e dal dolore alle ossa (o meglio alla percezione che aveva nel suo cervello delle proprie giovani ossa) e si gettava nella mischia in qualche serata alcolica in discoteca finché, sfiancato, non tornava a casa con Patty e Selma al collo e uno sguardo estraneo negli occhi, Il che ci riporta all’inizio della storia: Barthelby meditò a lungo (per quanto a lungo possa meditare su una cosa un uomo ubriaco e assonnato) sull’idea di suicidarsi, pensiero che lo portò, inevitabilmente, alla possibilità di masturbarsi, idea, questa, che prese in seria considerazione, tuttavia l’alcol e la sonnolenza resero le sue manovre imprecise e inefficaci, allora desistette e si concesse al sonno. Il pensiero che lo serrava non fu altrettanto indulgente: si rifugiò nel suo Ego, prese in ostaggio l’Es, si asserragliò nel Super-Ego, le sue richieste erano: un salvacondotto per il cuore, un cospicuo versamento in un credito off-shore nella ghiandola pineale e uno stravaso di bile nell’apparato digerente. L’inevitabile conseguenza fu una notte di merda: gli acidi gastrici dilagarono nell’esofago senza mai spingersi oltre la laringe, a meno che Barthelby non fosse disteso supino e chiudesse gli occhi ( o se si metteva prono con gli occhi già chiusi), se si distendeva sul fianco sinistro, sua posizione prediletta tra l’altro, pur provando meno nausea il pensiero di vomitare e dormire sul suo vomito lo ripugnava: ‘meglio morire soffocati dal proprio vomito’ – pensava, quanto al dormire sul fianco sinistro si diceva: ‘chi diavolo potrebbe mai dormire sul fianco sinistro?’

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