venerdì 5 dicembre 2014

Barthelby parte IV - Come di carta

Respiro profondo, un colpo di tosse... riprendiamo.

Barthelby smise di correre, trasse di tasca gli orsetti gommosi (non ricordava di averli pagati, ma che importanza ha ormai) e iniziò a masticarli. La durezza media dell'orsetto stantio è pari a quella delle pastiglie di ossido di uranio, utilizzate nella produzione di energia nucleare, anche il valore energetico è più o meno lo stesso, infatti, Barthelby ebbe voglia di camminare a lungo. Anche se non era riuscito a confondere i suoi pensieri sentì di essere sulla strada giusta, ma anche che fosse stato su quella sbagliata non faceva più alcuna differenza, e questo è il pensiero fondamentale che deve fare uno che vuole smettere di preoccuparsi di qualunque cosa. Iniziò a fluire dentro di lui una nuova forza data dall'inerzia: era il pensiero che cancella tutti gli altri, Barthelby capì che per fuggire all'azione, per liberarsi dalle costrizioni, doveva volare basso (o molto in alto), al di sotto (o ben al di sopra) dei radar della società, travestirsi da alienato solo per alienare tutto il resto da sé, dal proprio universo. Sarebbe stato imprevedibile, imprendibile.
Barthelby si abbandonò all'inerzia: si sentì privato delle ossa e pensò di cadere al suolo vittima di vertigini, ma fu solo un brivido fugace: sentì che aveva il peso del vento, il suo corpo si appiattì, gli organi si fusero tra loro, le parti molli e quelle dure divennero indistinguibili, era diventato come di carta, un foglio abbandonato nell'aria, sospinto dal vento e da tutte le forze del mondo. Nel suo nuovo stato Carthelby capì di poter andare ovunque, ma non gliene importava nulla, c'era solo la cognizione di quell'istante. Quando un vento smetteva di sostenerlo Carthelby disponeva ogni sua fibra per rimanere in aria e planare in attesa di un nuovo vento che venisse a sospingerlo, talvolta delle forti correnti ascensionali lo facevano accartocciare su se stesso, ma con abili virate si produceva in sinuose evoluzioni che lo portavano sempre più in alto. E così la terra sotto di lui mutava forma al mutare della sua prospettiva, se fosse salito abbastanza in alto avrebbe visto la linea dell'orizzonte incurvarsi e mostrare la sfericità della terra, ma la grazia del volo era già sufficiente a distrarlo.
Diventato esperto nel farsi trascinare dalle forze dell'aria, Carthelby si dispose a ridiscendere sulla terra, in pochi istanti il suo corpo ripercorse al rovescio le tappe della sua strana evoluzione: ricomparvero gli organi, gli arti si separarono e svilupparono tutte le loro giunture, i muscoli si attaccarono alle ossa e aumentarono di volume: per la prima volta nella storia l'uomo discendeva dalla carta.
Quel volo aveva completamente allontanato Barthelby dalla città: si guardò intorno, era in aperta campagna, non sapeva assolutamente dove si trovasse né da che parte fosse la città (probabilmente era alle sue spalle, nel caso voleste proprio saperlo), riprese confidenza con la sua ritrovata forma, con la sua nuova-vecchia prospettiva, sulla destra c'era una piccola collina, pensò di salirci, e tutte queste piccole occupazioni lo tennero lontano dal realizzare che in quel momento l'umanità era sparita.

martedì 25 novembre 2014

Barthelby parte III

Non gli rimaneva che mettere in atto i suoi propositi per il resto della vita. Barthelby pensò che la prima cosa da fare fosse smettere di pensare, ma il pensiero di non pensare era impensabile anche per lui (e francamente, caro lettore, sarebbe stato noioso seguire i pensieri di un uomo che non pensa un minimo), convenne con se stesso che la strada giusta da imboccare era quella di pensare fuori dagli schemi: non preoccuparsi più delle conseguenze delle proprie azioni, non pianificare nulla né tantomeno adattare il suo agire a cazzate come il pensiero degli altri o la fiducia nei mercati.
"Forse dovrei procurarmi dell'alcol per confondere meglio i miei pensieri" pensò tra sé mentre camminava verso il supermercato vicino. Entrò senza farci caso e iniziò a gironzolare fra i reparti con lo sguardo sperso tra le fughe del pavimento.
Camminava dentro al supermercato riflettendo sulla sua funzione, pensò a tutti i supermercati di tutto il mondo e, sebbene non ne avesse visti molti altri in altre parti del mondo, comunque né più né meno quanti possa averne visitati un uomo/ragazzo della sua età (il pensiero del numero esatto di supermercati da lui visitati lo tenne occupato per una mezz'oretta senza riuscire a ottenere un cazzo di dato matematicamente esatto), era certo che ognuno di essi avesse ben poco di diverso dagli altri, supermercati, cinema, centri commerciali, pompe di benzina, sono tutti non-luoghi identici in ogni parte del mondo, da qui o da un'altra parte non cambia una virgola, è come essere ovunque e da nessuna parte: "Dio solo sa quanti studi ci saranno riguardo alla 'corretta' - e pensò a lungo se quella parola avesse realmente senso in quel contesto - distribuzione della merce nei supermercati. Sempre la stessa, eppure, quando ti serve quel cazzo di pangrattato non lo trovi mai."
Pensare al pangrattato lo riportò sulla Terra: era riuscito a passare qualcosa come un'ora nel supermercato senza comprare da bere (il motivo apparente per cui doveva esservi entrato, vai cazzo!), in più aveva attirato l'attenzione di parecchi commessi in polo blu, palesemente incuriositi, quando non estremamente infastiditi, dalla sua presenza; con una mossa a sorpresa si presentò alla cassa e arraffò un discreto numero di orsetti gommosi, solo a lui era chiaro il perché: "lo zucchero incrementa l'effetto dell'alcol" - o qualcosa del genere. Uscito dal supermercato tentò l'en plein rovistando tra i cassonetti dell'immondizia lì fuori in cerca del famoso alcol di cui sopra; vennero fuori in tre in camice verde (ma non era grigio?) ma Barthelby li evitò scantonando lesto su una strada secondaria e si allontanò di corsa.

Bisogna che ti avverta, gentile lettore, che non ho idea di dove Barthelby si stia andando a cacciare, né tantomeno se almeno uno, tra lui, me e te, ci guadagnerà qualcosa andando avanti. Visto che, fortunatamente, non siamo in un libro, posso chiederti se finora ti sei annoiato o appassionato, e tu puoi rispondere quello che ti pare. Personalmente sono intenzionato a correre dietro a Barthelby finché il fiato mi regge, se mollo vedi un po' tu.

lunedì 17 novembre 2014

Barthelby parte II

A ogni modo, dopo molte peripezie, Barthelby riuscì ad addormentarsi profondamente. La sveglia suonò mezz’ora dopo. La sensazione fu di vertigine, di ritorno dall’aldilà.
“Maaacheccazz…” - Disse. Il vomito venne subito dopo.
La nausea postuma da alcol scemò in qualche ora, quella più sartriana per l'umanità, invece, aumentò. Il cocktail umorale che nacque dall’avvicendarsi di queste due nausee fu straordinario: Barthelby decise tacitamente che non sarebbe andato a lavoro (o a studiare) quel giorno, forse non avrebbe lavorato mai più. Non avrebbe fatto più nulla in tutta la sua vita, e sperava che la sua vita fosse miserevolmente breve perché ben conosceva le insidie che la noia tende ai buoni propositi, eppure era deciso: avrebbe preferito morire di noia piuttosto che fare qualcosa. Con questo proposito avrebbe potuto vivere mille anni senza fare nulla. Per contro, si accorse che non poteva rinunciare all'azione e mettersi a non fare nulla a casa, perché capiva che non fare nulla è fare qualcosa, che era esattamente ciò che non voleva fare.

Di fronte a questo dilemma fondamentale la filosofia e le scienze, così abili a dimostrare di volta in volta l’esistenza o l’inesistenza di Dio o a svelare grandi misteri come: ‘ma come fanno i cioccolatini al caffè ad avere dentro il caffè?’ si erano dovute arrestare davanti a questa annosa questione. Il moto degli atomi in un organismo immoto, è questione di non poco valore; da Leucippo a Democrito, da Yoda a Renzi, fare o non fare, fare non facendo, l’umanità non ha mai conciliato l’incompatibilità tra azione e inazione. Tuttavia, in quel giorno diverso in cui lui si sentiva diverso,Barthelby pensò di poter dare una soluzione a questo stallo, poteva sacrificare la sua vita sull’altare dell’inanizione, rendersi piccolo, vacuo e vuoto al punto da scomparire come un’ombra tra le pagine di un libro ai doveri cui la vita lo richiamava: per non fare qualcosa non potendo non far nulla decise di uscire senza sapere dove andare, si disse che andare dove non doveva andare era il primo passo per liberarsi dalla schiavitù delle convenzioni: ‘perché mai non dovrei voler andare dove non ho motivo di andare?’ aveva concluso tra sé mentre si allacciava le scarpe trascurando la possibilità di non allacciarle, prese il giubbotto più vicino alla porta e con gesto calcolatamente insignificante uscì di casa per sempre.

sabato 15 novembre 2014

Barthelby parte I

Quella sera Barthelby andò a dormire con la sensazione di essere infelice, una sensazione che potrebbe sembrare comune e che lui stesso aveva provato in più occasioni, soprattutto dopo una sbronza di eccesso, tuttavia, quella sera era diverso, lui era diverso, come l’infelice che, guardandosi allo specchio, incrocia uno sguardo che non è il suo. L’idea di continuare a vivere come aveva sempre fatto gli dava il voltastomaco più dell’alcol, la sua vita era ridicolmente ordinaria, insopportabilmente inscatolata come un vagone tra i binari, sempre nella stessa direzione alla stessa velocità, più di tutte, le serate a bere insieme agli amici, desiderosi di scacciare la routine gli pareva evocassero lo spettro dell’ordinarietà con ancor più violenza delle giornate in cui era oberato di lavoro; le teste di Patty e Selma, le insopportabili sorelle zitelle di Marge Simpson, penzolanti trascinavano la sua testa verso il basso inarcando la sua schiena il cui dolore lo invecchiava e lo abbruttiva tragicamente. Quello è il genere di dolore che ci si porta dietro per tutta la vita, ti corrompe lentamente, ingrigisce i capelli e invecchia la pelle precocemente, perdi la naturale attitudine alla curiosità, finché quel dolore non diventa un irrinunciabile piacere, l’unico reale, la condizione essenziale per essere davvero vivi. Cazzate; in quelle giornate Barthelby si chiudeva in casa e rifiutava ogni contatto col mondo, oppure chiamava a se tutte le forze sulle sue gambe irrancidite dal poco moto e dal dolore alle ossa (o meglio alla percezione che aveva nel suo cervello delle proprie giovani ossa) e si gettava nella mischia in qualche serata alcolica in discoteca finché, sfiancato, non tornava a casa con Patty e Selma al collo e uno sguardo estraneo negli occhi, Il che ci riporta all’inizio della storia: Barthelby meditò a lungo (per quanto a lungo possa meditare su una cosa un uomo ubriaco e assonnato) sull’idea di suicidarsi, pensiero che lo portò, inevitabilmente, alla possibilità di masturbarsi, idea, questa, che prese in seria considerazione, tuttavia l’alcol e la sonnolenza resero le sue manovre imprecise e inefficaci, allora desistette e si concesse al sonno. Il pensiero che lo serrava non fu altrettanto indulgente: si rifugiò nel suo Ego, prese in ostaggio l’Es, si asserragliò nel Super-Ego, le sue richieste erano: un salvacondotto per il cuore, un cospicuo versamento in un credito off-shore nella ghiandola pineale e uno stravaso di bile nell’apparato digerente. L’inevitabile conseguenza fu una notte di merda: gli acidi gastrici dilagarono nell’esofago senza mai spingersi oltre la laringe, a meno che Barthelby non fosse disteso supino e chiudesse gli occhi ( o se si metteva prono con gli occhi già chiusi), se si distendeva sul fianco sinistro, sua posizione prediletta tra l’altro, pur provando meno nausea il pensiero di vomitare e dormire sul suo vomito lo ripugnava: ‘meglio morire soffocati dal proprio vomito’ – pensava, quanto al dormire sul fianco sinistro si diceva: ‘chi diavolo potrebbe mai dormire sul fianco sinistro?’

giovedì 13 novembre 2014

Versi Romani

Un tempo ero il filo
Di mezzogiorno
Il sole oro
Marlboro doppie
Il cane inquieto
turbine del vento
Legato all'entrata
di un bar, in attesa
Il bicchiere è vuoto
Tutto il vino del mondo
Non basta
A colmare il fondo
Del mio cuore
Che resta
Di tutte le ore in cui
Ti aspetto tremante
Se oggi tremo
In un'altra alcova
Senza nome
Un cuore fumante
Senza amore
Per quello che ero
Per quella che sei
Per quello che sono
Per quella che eri.

Sono un rigurgito
d'immaginazione
In un recondito recesso
di procrastinazione
Uno slancio d'entusiasmo sconveniente
Nell'incongrua inconcludente
Danza dei convenevoli
Preambolo del sesso
Tolta l'elegia ho messo
Lacrime di tennent's
Il cane ha rotto il laccio
E vaga per il mondo
Libero dal suo abbraccio

venerdì 26 settembre 2014

Impressioni di settembre

Quante gocce di rugiada intorno a me
Cerco il sole, e si, c'è

Certi giorni sembrano dire che è come se non stessi più vivendo la tua vita così come te l'eri immaginata. Giorni senza sole, giorni di settembre. Impressione.
Eppure, nel momento peggiore, quando tutto cambia, c'è una scintilla, di speranza di divino quello che vi pare, ma la tua visione non è più la stessa, più lucida, indifferente all'apparenza, che pure se stai bollendo dentro come il mare in tempesta, dalla terra il mare sembra quieto, la tempesta a largo, nel profondo. Questo prodigio è dovuto solo a te, all'aver realizzato che, per quanto possa andare tutto male, la vita cambia e non e tu non puoi che andare avanti, la vita non si ferma e non ti puoi fermare.


E intanto il sole dalla nebbia filtra già
E il giorno come sempre sarà

Bentornato, vecchio Charles



domenica 15 giugno 2014

L'importante non è partecipare

Sarebbe scontato iniziare una riflessione di questo tipo con la classica etichetta: "italiani, popolo di santi e di navigatori" ma, visto che oggi tutti usano il GPS e di santo c'è rimasto ben poco, l'unico luogo comune sugli italiani che può affiancare il classico "spaghetti-mandolino" è che siamo un popolo di allenatori.
Metto giù il mandolino e mi spiego.
Tutta questa premessa per arrivare a dire l'ovvio: il popolo. italiano è veramente unito solo se c'è di mezzo lo sport. Se il Risorgimento e la Guerra di Indipendenza fossero stati un trofeo calcistico l'avremmo vinto ben prima di Garibaldi.

Sarebbe la solita insulsa polemica dire che agli italiani importa solo del pallone; lo sport esercita il suo potere catartico su tutti gli uomini, non solo italiani, produce valori, fortunatamente non solo economici, che permangono nella vita di tutti i giorni. Dove sarebbe la Germania senza il sentimento di rivincita puntualmente accresciuto e frustrato dai nostri Azzurri!

Era il 2006 e, sebbene a nessuno fregasse dello spread (neanche adesso in fondo, però dicono che sia in calo...), ci sentivamo comunque con un piede nella fossa, condizione per noi fisiologica dai tempi di Romolo Augusto per non andare lontano; il calcio italiano era immerso fino alle orecchie nella melma di Calciopoli e, come dimostrerà la storia, continuerà a essere un mondo malato. Eppure, il calcio è anche una scatola magica che contiene i sogni collettivi, così la vittoria mondiale fu un meraviglioso canto del cigno che ci ha fatto dimenticare tutti i nostri guai fino ai successivi campionati Europei.

Andiamo ancora più indietro, all'estate fatale del 1948. L'Italia è in ginocchio dopo la guerra, ma è la stagione del ciclismo epico, fatto di strade che sono mulattiere tra le macerie, e si butta sangue sui pedali. Fuori da Montecitorio, Togliatti sanguina anche lui, gli hanno sparato. Si profila la guerra civile, ma dalla Francia arriva la notizia: Gino Bartali ha vinto il Tour. Gli italiani scendono i strada in bici con le bandiere al vento piuttosto che con le armi spianate. È una leggenda, si sa, ma nelle leggende c'è sempre un fondo di verità, un riflesso della realtà, e mentre fuori dagli stadi in Brasile continuano gli scontri, da noi Grillo tenta approcci con il tanto odiato Renzi e la strada sembra farsi in salita, diamo una lezione ai maestri inglesi, Marchisio-Balo, sembra discesa e non serve pedalare.